Arriva la stagione calda, e soprattutto con la prospettiva di dover recuperare i mesi di lavoro perduti per via del lockdown la necessità di rinfrescare ambienti di dimensioni medio-grandi – come i capannoni industriali – diventa impellente, così da poter offrire un ambiente di lavoro confortevole anche nel pieno dell’estate.
La tecnologia del raffrescamento adiabatico, o evaporativo, ha le sue radici in un principio fisico conosciuto e sfruttato con successo fin dai tempi più antichi, e permette di godere contemporaneamente di risparmio energetico e di una temperatura gradevole. I tratti distintivi della tecnologia di raffrescamento evaporativo sono infatti l’assenza di fluidi frigorigeni, il consumo estremamente contenuto, e la massima semplicità tecnologica, dato che si sfrutta un principio completamente naturale.
Come funziona il raffrescamento adiabatico
Partiamo con un po’ di semplicissima fisica: l’aria è in grado di assorbire una certa quantità di acqua (sotto forma di vapore) in base alla propria temperatura. Quando calcoliamo il rapporto fra il vapore effettivamente contenuto nell’aria di un ambiente in un momento specifico e la massima quantità di vapore che quell’aria potrebbe contenere otteniamo una percentuale che si definisce di umidità relativa.
Il principio base del raffrescamento evaporativo consiste proprio nel variare questa percentuale, ossia nel vedere che accade quando l’umidità relativa sale e arriva più vicina possibile al 100% (o, che è la stessa cosa, l’aria si satura d’acqua). L’aria con una bassa umidità relativa (ossia “secca”) può arrivare ad assorbirne altra fino a raggiungere valori del 95%: e questo dipende fondamentalmente dallo sfruttamento del calore stesso dell’aria, che viene consumato per far evaporare altra acqua che va ad aumentare l’umidità. Ed è altrettanto ovvio che più l’aria è calda e secca, più ha calore da consumare, più può far evaporare altra acqua e saturarsene. E questa trasformazione termodinamica è quel che si dice isoentalpica, ossia avviene senza scambio diretto né di calore né di lavoro: avviene naturalmente, senza dover “forzare” l’aria a fare alcunché.
Ma poiché questo processo sta appunto prelevando calore dall’aria, il risultato – inevitabile – è che l’aria cala di temperatura: si raffresca.
In breve: più l’aria è calda e secca, più può saturarsi di vapore acqueo. Questa trasformazione vede ridursi l’energia termica dell’aria stessa, che viene sostituita dall’energia termica latente del vapore acqueo: e per fare un esempio pratico, si tratta di un passaggio che può portare aria con Umidità Relativa del 50% e Temperatura di 35° ad avere un’umidità relativa dell’88% e una Temperatura (questo, nel raffrescamento, è il dato essenziale) di 27° – otto gradi più bassa.
Un apparecchio di raffrescamento adiabatico svolge proprio la funzione di sfruttare questo principio fisico il meglio possibile, raffreddando l’aria calda e secca all’esterno dell’edificio per immetterla, umida e fresca, al suo interno.
Quanto è efficiente il raffrescamento evaporativo
Come abbiamo visto, il principio di funzionamento del raffrescamento adiabatico è completamente diverso da quello del condizionamento, che si fonda su un circuito chiuso ermeticamente dove un fluido di raffreddamento abbatte la temperatura dell’aria. Nel caso del raffrescamento ci sono due fattori che vanno ad impattare sul risultato:
- La temperatura e l’umidità relativa dell’aria esterna all’edificio, che è quella che verrà trattata e immessa nell’ambiente: come abbiamo visto, più è secca e calda, più intenso sarà il raffrescamento;
- La capacità di saturazione dell’aria del dispositivo di raffreddamento impiegato: più è alta, più l’aria immessa nell’ambiente sarà fresca.
Questi dispositivi si basano su pannelli evaporativi ad alta efficienza, composti da fogli di cellulosa ricoperti da un’apposita pellicola che li protegge dai raggi UV e dall’usura dovuta al passaggio dell’acqua.
C’è però un terzo dato che occorre per sapere quale temperatura avrà alla fine l’aria nell’ambiente che stiamo raffrescando, come ad esempio un capannone: il cosiddetto “valore di ricambio d’aria” previsto dall’impianto. Come abbiamo visto, infatti, il sistema di raffrescamento adiabatico si basa su un continuo ricambio d’aria, dove aria esterna viene costantemente prelevata dal tetto e l’aria interna viene altrettanto costantemente espulsa dalle finestre e dai portoni –che devono restare aperti – o da estrattori meccanici se non è possibile fare altrimenti.
Come si risolve il problema dell’afa negli impianti di raffrescamento adiabatico?
Avendo letto la descrizione del funzionamento degli impianti di raffrescamento adiabatico che abbiamo fatto finora, i lettori più attenti avranno sicuramente maturato una domanda. Se abbiamo detto che il sistema è tanto più efficiente quanto più l’aria esterna è secca, e se allo stesso tempo il maggiore problema del caldo estivo è l’afa – ossia un alto tasso di umidità dell’aria – come è possibile combattere il caldo nei giorni afosi con il raffrescamento evaporativo?
Partiamo da un importante presupposto: più l’aria è calda, più è capace di assorbire umidità (come abbiamo visto), e quindi nelle ore più calde della giornata l’umidità relativa, normalmente, è comunque a livelli inferiori. È però vero che a volte le giornate estive possono essere molto afose, e che l’utilizzo di un sistema basato sul rendere l’aria più umida possa di fatto suscitare dubbi in tali situazioni.
Qui occorre introdurre un altro concetto essenziale, che è quello del calore cosiddetto “percepito”. In breve, è possibile sintetizzarlo dicendo che certe combinazioni di temperatura e umidità relativa ci portano a percepire una temperatura maggiore di quella reale, tanto più quanto più è elevata l’umidità. Ovviamente, tuttavia, questo funziona anche al contrario: al calare della temperatura dell’aria, cala anche l’effetto che l’umidità ha sulla percezione della temperatura stessa. Più l’aria è fresca, meno il fatto che sia umida ci dà l’erronea sensazione di una temperatura superiore: basta pensare alle giornate primaverili o autunnali, quando anche se alta l’umidità non ci fa certo sentire soffocati.
Facciamo un esempio: a 33° C, passare dal 30% al 60% di umidità relativa porta la media delle persone a percepire una falsa temperatura di circa 40° C. Ma se la temperatura dell’aria è di soli 4 gradi più bassa, ossia di 29° C, allora lo stesso aumento di umidità porta ad un effetto ingannevole molto più ridotto, e la media delle persone percepisce una temperatura di 32°c circa, ossia un effetto d’aumento apparente dimezzato rispetto al primo caso.
A questo punto, naturalmente, entra in gioco l’effettiva funzione del raffrescatore evaporativo: se questo riesce a portare la temperatura interna su livelli vicini ai 27 o 28°C, allora l’aumento di umidità non avrà alcun apprezzabile effetto di aumento del calore percepito. È vero, naturalmente, che in giornate di umidità estremamente alta l’efficienza del sistema di raffrescamento adiabatico calerà, ma in queste condizioni è altrettanto vero che abbassare di pochi gradi la temperatura interna porterà ad un vero crollo di quella percepita. Per fare un altro esempio, in condizioni con aria a 33° e umidità al 70%, percepiremo un calore di circa 44°; portando la temperatura reale dell’aria a 31° – soltanto due gradi in meno – la percepita scenderà a 38°, ossia sei in meno.
L’installazione dei sistemi di raffrescamento evaporativo
Un altro significativo vantaggio dei sistemi di raffrescamento evaporativo è la facilità di installazione. Le unità contenenti i pacchi di raffreddamento vengono solitamente installate sul tetto dell’edificio – qualche volta sulle pareti – e collegate ad un canale che porti l’aria all’interno, la cui forma e lunghezza dipenderanno dalla specifica situazione. Un ventilatore convoglierà l’aria raffrescata portandola nei locali interni.
Cosa occorre, dunque, per installare un sistema di raffrescamento adiabatico nel proprio capannone?
- L’allacciamento idrico, che si riassume in un tubo flessibile collegato alla rete dell’acqua;
- Il collegamento elettrico, una normale connessione a 230 V.
L’elettronica interna del dispositivo preleverà l’acqua per raffrescare, scaricherà quella riscaldata dal procedimento, e attiverà il ventilatore; il consumo elettrico sarà limitato a quest’ultimo e alla pompa di circolazione per l’acqua, che necessita di una ridotta potenza. Il tutto potrà essere regolato da telecomando, da termostato, o da timer, a seconda delle necessità del locale.
La sola necessità aggiuntiva si verifica, come anticipavamo poco sopra, nei casi in cui non sia possibile mantenere costantemente aperte finestre e portoni, o in cui quelle aperture disponibili non siano sufficientemente grandi. Ricordiamo infatti che il sistema di raffrescamento evaporativo richiede un costante ricambio dell’aria, perché tanta aria calda deve uscire quanta aria fredda viene immessa. Qualora porte e finestre non possano garantirlo, diventa necessario aggiungere all’impianto degli estrattori d’aria, anch’essi installabili sul tetto oppure a parete, così da garantire il ricambio necessario.
I vantaggi del raffrescamento adiabatico
Il vantaggio principale offerto dai sistemi di raffrescamento adiabatico è sicuramente la possibilità di operare efficacemente per abbassare la temperatura di locali ed edifici con grandi volumetrie che renderebbero improponibile economicamente l’impiego dei condizionatori. Un impianto di raffrescamento, infatti, costa molto meno e consuma molto meno di uno di condizionamento, soprattutto al crescere del volume d’aria da trattare. Da non sottovalutare è anche il minor costo di manutenzione, che non deve tenere conto di alcun tipo di fluido refrigerante e non richiede particolari competenze o dispositivi.
Oltre a questo, permettendo (addirittura richiedendo) di lasciare aperte porte e finestre, un impianto di raffrescamento evaporativo ha un costante ricambio d’aria, particolarmente importante a scopi igienici per l’eliminazione di pulviscoli, vapori o fumi tossici, e ancora di più in questo periodo di pericolo per il Coronavirus – come da linee guida dell’I.S.S.
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